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Elbrus, recensione del libro di Marco Capocasa e Giuseppe di Clemente

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Una Terra non così lontana nel tempo dalla nostra, ma già profondamente sconvolta dalla crisi ambientale in corso, un progetto scientifico ambizioso, forse troppo, un segreto che si perde nel silenzio di galassie lontane, ma che dopo anni trova la voce.

Questi sono gli ingredienti di “Elbrus”, il romanzo sci-fi scritto a quattro mani da Giuseppe di Clemente e Marco Capocasa e pubblicato da Armando Curcio Editore. Perché Lubomir ha continue allucinazioni di una vita che non ricorda? E cosa c’entra tutto questo con il progetto che avrebbe dovuto cambiare le sorti di un’umanità condannata ad estinguersi?

Elbrus, la trama

Anno 2131. Quando Andrus Sokolov, delirante, si lancia da uno degli edifici di Tallin e a malapena sopravvive, per tutti è solo un eccentrico, bisognoso di cure. Per Lubomir, invece, è una gelida rivelazione.

Quelle parole, riportate con freddo scetticismo dal giornalista, quelle frasi su lontane foreste, su uomini dai volti tutti uguali e su una Dama, che lo sta chiamando a sé, Lubomir le conosce bene. Ogni notte, da tempo, ne è perseguitato. Come può avere le stesse allucinazioni di un uomo che non ha mai conosciuto? Cos’hanno in comune lui e Andrus?

Dalla prima visita all’ospedale psichiatrico in cui Andrus è stato ricoverato e dall’incontro con il giornalista Nigul Leppik inizia per Lubomir un viaggio per scoprire parte della propria infanzia, ormai dimenticata. Quel periodo che precede l’adozione da parte dei suoi genitori e che per lui è avvolto nella nebbia. Un solo nome ricorre tra le righe dei documenti e in tutte le prime scoperte, che legano lui e Andrus: EASA.

Un’agenzia governativa, che sembra aver messo in campo qualsiasi mezzo per cancellare ogni traccia di quel periodo.

Sì, perché questa storia inizia molti anni prima. Quando David Dunn, esperto genetista, viene convocato a Tallin per prendere parte a un progetto rivoluzionario. Un progetto in cui le sue competenze di genetista sono la chiave per salvare l’umanità e cambiarne non solo le sorti, ma la stessa struttura genetica. Un progetto cui David si dedica anima e corpo, finché non gli viene imposta un’ultima terribile misura necessaria per il compimento dell’obiettivo.

Recensione

Quando Marco Capocasa mi ha contattata per propormi la lettura del libro scritto insieme a Giuseppe di Clemente, ciò che mi ha colpita della presentazione del romanzo è stata la nota sul background degli autori: Marco è un antropologo molecolare dell’Istituto Italiano di Antropologia e si occupa non solo di diversità genetica umana ma anche di problematiche etiche della ricerca in questo ambito (aspetto molto importante per le implicazioni presenti nella trama del romanzo); Giuseppe è un economista appassionato di fantascienza.

Sono stata subito incuriosita dal leggere una storia sci-fi (che non è esattamente il mio genere) scritta da due persone che hanno spostato in un contesto narrativo riflessioni, considerazioni e studi che traggono ispirazione dalle loro competenze nella vita reale e quotidiana. Se i libri sono uno strumento per raccontare in modo nuovo e non sempre realistico la realtà, chi meglio di loro poteva raccontare una storia di fantascienza costruita sullo sfondo del disastro ambientale al quale stiamo condannando il nostro pianeta?

Il pregio principale di questo libro è senza dubbio l’accuratezza: del linguaggio, dei dettagli scientifici, del contesto in cui si muovono i personaggi. C’è una credibilità forte nei loro dialoghi e dietro i loro ragionamenti, che si nutre delle conoscenze dei due autori.

Un valore che è un’arma a doppio taglio: a volte, a mio parere appesantisce la fluidità della narrazione e in alcuni punti ingabbia il lettore, meno esperto, in una spirale di specifiche e approfondimenti che penalizzano il racconto, già complesso sul piano cronologico per via di una trama che si costruisce attraverso i flashback tra tre diversi piani spazio-temporali. Nulla che mi porterebbe a non consigliare questo romanzo ad un appassionato del genere sci-fi, ma personalmente mi sarebbe piaciuto che i professionisti avessero lasciato un po’ più di respiro agli scrittori.

Il finale è di quelli che piacciono a me: rispetta il tono di un libro che non rincorre disperatamente un lieto fine, ma affronta e racconta la realtà, con le sue luce e le sue ombre, tra dubbi etici e scelte difficili.

Buone letture!

Angela

Da sempre innamorata delle storie mi sono laureata in Giornalismo ed Editoria, poi sono digievoluta in web copywriter per raccontarle online. Nel tempo libero leggo libri, stilo liste, vedo cose.

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